LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda sezione civile 
 
    Composta da: 
        Felice Manna, Presidente; 
        Ubaldo Bellini, Consigliere; 
        Aldo Carrato, Consigliere; 
        Elisa Picaroni, Consigliere; 
        Annamaria Casadonte, Rel. Consigliere. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
16952-2016 proposto da Tata Italia Spa, elettivamente domiciliata  in
Roma, Corso Trieste n. 155, presso  lo  studio  dell'avvocato  Felice
Eugenio Lorusso, che la rappresenta e difende; ricorrente; 
    Contro Comune di Bari, elettivamente  domiciliato  in  Roma,  Via
Nizza  n.  53,  presso  lo  studio   dell'avvocato   Fabio   Caiaffa,
rappresentato e difeso dagli avvocati Biancalaura  Capruzzi,  Rosaria
Basile; controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 7/2016 del Tribunale di  Bari,  depositata
il 4 gennaio 2016. 
    Udita la relazione della causa svolta nella camera  di  consiglio
del 20 giugno 2019 dal Consigliere Annamaria Casadonte. 
    Rilevato che: 
        Tata Italia S.p.a. impugna  in  cassazione  la  sentenza  del
Tribunale di Bari che ha accolto l'appello del  Comune  di  Bari  nei
confronti della sentenza del Giudice di  pace  che,  in  accoglimento
dell'opposizione, aveva annullato la sanzione amministrativa  per  la
violazione  dell'obbligo  della  chiusura  domenicale   imposto   con
l'ordinanza sindacale n. 1142 del 24 ottobre 2008; 
        il Tribunale di Bari, quale giudice d'appello ha ritenuto  la
legittimita' della suddetta ordinanza sindacale  in  quanto  adottata
dopo l'entrata in vigore della legge regionale n. 5/2008  integrativa
di quella n. 11/2003 e  gia'  oggetto  di  sindacato  giurisdizionale
amministrativo nella sentenza n. 1348/2009 del T.A.R. Puglia; 
        la cassazione e' richiesta sulla base di  tempestivo  ricorso
affidato a due motivi, cui resiste con  controricorso  il  Comune  di
Bari; 
        entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art.
380-bis.1. del Codice di procedura civile. 
    Considerato che: 
        con il primo motivo si censura, in  relazione  all'art.  360,
comma 1, n. 3, del Codice di procedura  civile  la  violazione  delle
norme sul giudicato per avere il giudice d'appello argomentato che la
sentenza del T.A.R. Puglia n. 26534/2008, confermata  dalla  sentenza
del Consiglio di Stato n. 1179/2012 ed addotta dall'appellante Tata a
sostegno della sua  opposizione,  aveva  dichiarato  l'illegittimita'
delle ordinanze sindacali emesse in epoca anteriore alla  entrata  in
vigore della legge regionale n. 5/2008  integrativa  della  legge  n.
11/2003; 
        la censura e' infondata; 
        il tribunale ha dato conto dell'esistenza della pronuncia del
Consiglio, ritenendola tuttavia non  pertinente  al  caso  di  specie
perche' relativa ad ordinanza sindacale emessa  in  regime  anteriore
alla legge regionale n. 5/2008 che funge da  presupposto  alle  nuove
ordinanze sindacali, oggetto, a loro volta  di  distinta  pretesa  di
annullamento davanti al giudice amministrativo; 
        a fronte di tali rilievi la parte  non  ha  fornito  elementi
specifici di diverso significato  in  forza  dei  quali  giustificare
l'assunto che la materia del contendere  sia  coperta  dal  giudicato
esterno formatosi nel precedente giudizio (cfr. Corte  di  cassazione
n. 13475/2014 e per un caso simile cfr. altresi' Corte di  cassazione
n. 8796/2018); 
        con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360,
comma 1, n. 5, del Codice di procedura civile m, l'omesso  esame  dei
profili di  illegittimita'  costituzionale  della  legge  n.  11/2003
sollevati dalla societa' Tata nei due gradi di giudizio; 
        la sentenza gravata ha richiamato a sostegno  della  ritenuta
legittimita'   dell'ordinanza    sindacale    che    disciplina    la
calendarizzazione delle aperture domenicali dopo l'entrata in  vigore
della  legge  n. 5/2008,  e  che  costituisce  il  presupposto  della
sanzione  irrogata,  la  sentenza  del  T.A.R.  Puglia  n.  1348/2009
rinviando alla sua motivazione per quanto riguarda la conclusione sia
della legittimita' costituzionale della legge  regionale  n.  11/2003
sia per quanto  concerne  la  sua  compatibilita'  con  la  normativa
comunitaria; 
        tuttavia occorre considerare che dopo la decisione di secondo
grado, e' sopravvenuta la sentenza con cui  la  Corte  costituzionale
ha,  viceversa,  ritenuto  fondata  la  questione   di   legittimita'
costituzionale della  successiva  legge  Regione  Puglia  n.  24/2015
(Codice del commercio), in particolare, tra gli altri, degli articoli
9, comma 4, e 13, comma  7,  lettera  c),  che  prevedono  interventi
regolativi degli «orari di apertura e  di  chiusura»  degli  esercizi
commerciali, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e),
della Costituzione, il quale riserva alla competenza esclusiva  dello
Stato la legislazione in materia di «tutela della concorrenza» (Corte
costituzionale n. 239 del 2016); 
        il Giudice delle leggi ha sottolineato  come  il  legislatore
statale fosse gia' intervenuto  per  assicurare  la  liberalizzazione
degli orari degli esercizi commerciali, dapprima in via  sperimentale
e  poi  a  regime,  con  l'art.  3,  comma  1,  lettera  d-bis),  del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4  agosto  2005,  n.
248; 
        con cio' svolgendosi attualmente detta attivita' - in seguito
alla modifica disposta dall'art. 31, comma 1,  del  decreto-legge  n.
201 del 2011, le attivita' commerciali, come individuate dal  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina  relativa
al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4,  della  legge
15 marzo 1997, n. 59), e quelle di  somministrazione  di  alimenti  e
bevande - «senza i seguenti limiti e prescrizioni»  concernenti,  tra
l'altro,  «il  rispetto  degli  orari  di  apertura  e  di  chiusura,
l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche'  quello  della
mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio»; 
        rammentato,  dunque,  di  avere  giudicato  non  fondate   le
questioni di  costituzionalita'  sollevate,  in  via  principale,  da
alcune regioni ricorrenti, dovendosi inquadrare l'art. 31,  comma  1,
del decreto-legge  n.  201  del  2011  nella  materia  «tutela  della
concorrenza»,   di   competenza   esclusiva   dello   Stato    (Corte
costituzionale  n.  299  del  2012),  nonche'  di  avere   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di diverse  norme  regionali  con  le
quali si erano regolati gli  orari  degli  esercizi  commerciali,  in
quanto contrastanti con l'espresso divieto di limiti  e  prescrizioni
in  materia,  contenuto  nella  citata   normativa   statale   (Corte
costituzionale n. 27 e n. 65 del 2013; e n. 104 del 2014),  la  Corte
costituzionale ha, conseguenzialmente, ritenuto che analogo contrasto
dovesse essere ravvisato, con riferimento alle impugnate disposizioni
della legge Regione Puglia; 
        pertanto - pur  precisando  che  la  totale  liberalizzazione
degli orari degli esercizi commerciali non costituisca una  soluzione
imposta dalla Costituzione, sicche' lo Stato possa rivederla in tutto
o in parte, temperarla o  mitigarla  -  la  Corte  ha  ritenuto  che,
nondimeno, nel vigore del divieto di imporre  limiti  e  prescrizioni
sugli  orari,  stabilito  dallo  Stato   nell'esercizio   della   sua
competenza  esclusiva  a  tutela  della  concorrenza,  la  disciplina
regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima
sotto il profilo della violazione del riparto di competenze; 
        dal momento che il dubbio di incostituzionalita'  prospettato
da parte  ricorrente  riguarda  le  precedenti  norme  poste  a  base
dell'accertamento della contestata violazione,  in  data  1  febbraio
2009, dell'obbligo di chiusura domenicale e  festiva  degli  esercizi
commerciali, emesso ai sensi dell'art. 18 della  legge  regionale  n.
11/2003,  come  integrato  e  modificato  dall'art.  12  della  legge
regionale n. 5/2008, ne consegue  che,  non  ritenendosi  praticabile
nella specie  una  interpretazione  costituzionalmente  orientata  di
dette norme, che non si  traduca  nella  loro  sostanziale  e  intera
disapplicazione, in ragione della non  manifesta  infondatezza  della
questione (alla luce ed in ragione delle  affermazioni  delle  citate
pronunce del Giudice delle leggi) si appalesa  necessario  sospendere
il giudizio a quo e rimettere gli  atti  alla  Corte  costituzionale,
quanto alla sussistenza della  eccepita  violazione  del  riparto  di
competenze tra Stato e regioni nella materia de qua; 
        d'altro lato, va  richiamato  il  principio  secondo  cui  la
regola tempus regit actum, riguardante la successione delle leggi nel
tempo,  non  e'  riferibile  alla  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale, in quanto questa non e' una forma di abrogazione,  ma
una  conseguenza  dell'invalidita'  della  legge,  che  ne   comporta
l'efficacia retroattiva, nel senso che investe anche  le  fattispecie
anteriori  alla  pronuncia  di  incostituzionalita',  con  i   limiti
derivanti dal coordinamento tra il principio enunciato dagli articoli
136 della Costituzione e 30 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  e  le
regole che disciplinano il  definitivo  consolidamento  dei  rapporti
giuridici e il graduale formarsi del giudicato  e  delle  preclusioni
nell'ambito del processo (Corte di cassazione n. 6692 del 2006; Corte
di cassazione n. 5833 del 2006); 
        atteso che il provvedimento sanzionatorio  era  stato  emesso
dal Comune controricorrente ai sensi della legge regionale n. 5/2008,
integrativa dell'art. 18 della  legge  regionale  n.  11/2003,  nella
specie il ricorso per cassazione andrebbe rigettato  in  ragione  del
mancato accoglimento di tutti i motivi di  ricorso;  ravvisandosi  da
cio' la rilevanza della questione nel giudizio a quo;